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Capitolo 2 – Il salvatore
Il salvatore
La guerra è dura, il destino continua a colpire e ormai ho perso la concezione del dolore. Non capisco più dove ho male e perché. Se è frutto dei colpi subiti in passato o di quelli che continuano ad arrivare. Ormai sono tutto tumefatto, livido. Gli occhi sono due fessure e la realtà è annebbiata dalla fatica e dalla sofferenza. Chiudo gli occhi e vedo i tulipani bianchi, sento quel profumo di mela verde, odo il rumore del mare e delle risate mentre ci scattavamo quelle ultime foto insieme. Poi il destino ci mette del suo e mi pone davanti agli occhi continui segnali di quel Noi che ora non c’è più. Quanto è difficile dimenticarla… E dire che di prove ne ho superate e di fatti da dimenticare nella mia vita ce ne sono stati tanti. Però avevo sempre fatto fatica e adesso la storia si ripeteva. Per fortuna c’era sempre lui, il salvatore, che trovava un modo per riprendermi e farmi sorridere. E dire che tra di noi non era nata nel migliore dei modi. Quando avevo saputo della sua nascita ero rimasto totalmente indifferente, anzi un po’ spaventato dal fatto che potesse rubarmi il posto nel cuore di mio padre. Un fratellastro con vent’anni in meno, l’avrei visto una volta alla settimana per un paio d’ore quando andavo a cena a casa loro. Di certo non mi sarei mai affezionato a lui, il frutto della nuova famiglia di mio padre. Rifiutavo il fatto che avesse preferito un’altra a mia madre e ora avrebbe fatto uguale col nuovo arrivato. L’unica cosa che mi rendeva “felice” era che ora ero “l’uomo di casa”, da principe ero diventato Re e mi piaceva quando mia madre mi chiedeva di portare in casa la spesa o di accompagnarla al supermercato. Mi sentivo importante per la mia famiglia più di quanto possa esserlo uno stupido principino. Tutto l’astio per il mio “fratellastro” sparì però il giorno che nacque: ricordo ancora quando andai all’Ospedale di Faenza a vederlo, mi accompagnò mio zio con la sua moto sportiva. Arrivai là e mio padre me lo diede in braccio: era scuro dallo sforzo, cicciottello e non era bello come tutti i bambini appena nati. Avevo il terrore che mi cadesse e la grazia nel prenderlo di un elefante indiano, però da quel giorno iniziò a tirarmi su dal baratro.
Tutto brucia
Devo guardare avanti, me lo sono imposto come hai fatto tu. Ma vorrei sapere la ricetta magica per riuscire a non pensare a certe cose, a non guardarmi mai indietro. Io le ho scese le scale sono partito in avanti, mi sono girato un paio di volte e anche tu. Tu hai continuato, io mi sono fermato e poi come una calamita ti sono corso dietro con il cuore in gola. E’ dura guardare avanti quando ogni canzone mi sembra parlare di te, quando dormo nel letto dove abbiamo fatto l’amore, quando trovo tracce di te in ogni cassetto, in ogni foglio sulla scrivania, Anche i miei vestiti mi ricordano i momenti vissuti insieme, quando ce li sfilavamo e li lanciavamo sul pavimento. Cosa devo fare? Dare fuoco a tutto quello che ho di nostro? Ma poi penso che anche dall’incendio uscirebbe il tuo profumo e che comunque il fuoco che ho dentro non posso proprio spegnerlo.
Incipit
E’ notte fuori, spengo le luci e mi fumo una sigaretta. Il silenzio mi circonda, l’unico rumore è quello del mio aspirare. Mi fa schifo fumare, odio il sapore che mi rimane in bocca, quell’amaro sulla lingua, odio sentire l’odore della sigaretta sulle mie dita. Però di questa sigaretta ne avevo bisogno, mi placa. E poi è quella che avevo infantilmente capovolto nel pacchetto; è l’ultima, quella del desiderio da esprimere. Sinceramente non so cosa richiedere al genio del pacchetto delle Marlboro, ho tante troppe cose da cambiare nella mia vita. I miei rapporti con l’altro sesso sono fallimentari, da pochi giorni si è conclusa la storia con la mia ultima ragazza, che è entrata a fare parte del pacchetto nutrito delle ex. Ho un gruppo buono di amici, ma mi sento sempre solo. Vanno bene per ridere, bere un coca rum e guardare la partita la domenica allo stadio, però non riesco a raccontar loro i miei problemi, le mie angosce. Non ho un lavoro, devo laurearmi e gli anni di fuori corso superano ormai il numero delle ex fidanzate. E poi c’è quel problema lì, quello che non si risolverà mai, quello che solo la Divina Provvidenza può terminare. Il problema da cui è nato tutto, la frana che ha creato il baratro in cui sono cascato e da cui non sono ancora uscito. Forse potrei chiedere questo all’ultima sigaretta. Di uscire da questo baratro, di rivedere la luce. Di tornare a camminare nel mondo dei vivi, senza restare a fissarli da una finestra con una sigaretta di merda in mano.