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Sognando la Polonia: frutti di una crisi italiana
Se solo dieci anni fa una persona qualsiasi sarebbe venuta da me a dirmi che un lunedì di Ottobre del 2014 lo avrei passato a guardare annunci di lavoro in Polonia con un amico, beh sicuramente l’avrei mandata a cagare quella persona, invitando lui ad andare in Polonia con tutta la sua famiglia. Ed invece non so cosa sia successo al mondo ma io ho passato la serata così; a parlare con un altro trentenne laureato e disoccupato delle opportunità che offre oggi la Polonia. Perché a Wroclaw il mondo dell’informatica viaggia alla velocità della luce e così i vicini poveri della Germania oggi annoverano un aumento del 4,5% del loro Pil, mentre in Italia siamo sempre in decrescita. In Polonia offrono un lavoro a tempo indeterminato, mentre in Italia ti propongono solo stage e tirocini. E’ vero la paga è di circa 700 euro in Polonia, ma se con 8 euro vai a mangiare dal Cracco polacco forse quei pochi soldi possono bastare e poi dopo aver fatto un po’ di pratica si può sperare nel salto di carriera e tornare in Italia. Così dice il mio amico Giovanni. Ma su questo punto mi tocca dissentire: “Eh no caro Giova, io da quella puttana fatiscente che mi ha costretto ad andare via, non ci torno nemmeno per tutto il grano del mondo”.
Colloqui italiani
Un tempo c’era la corsa all’oro oggi c’è la corsa al lavoro… E così ogni annuncio ha 1000 visite e altrettante risposte e finisce che alla fine il telefono non suona mai. La settimana scorsa però miracolo: mi chiama un numero sconosciuto e per la prima volta non è né telecom né fastweb che mi vogliono vendere qualcosa, ma il signor tal dei tali delle risorse umane per l’annuncio a cui avevo risposto su internet. Mi chiama chiedendo se sono ancora interessato e mi fissa un colloquio. Pur pensando che sinceramente non è il lavoro che sognavo di fare in vita mia accetto pieno di gioia perché comunque è un lavoro retribuito, una rarità negli annunci dei giorni nostri. Felice aspetto di dare la lieta news a mio padre, che però si insospettisce dal fatto che al giorno d’oggi possano offrire un lavoro e mi inizia a dire di non firmare niente e di tenere mille occhi aperti. Sul momento odio mio padre, ma in fondo anche io qualche dubbio me l’ero posto. Comunque decido di presentarmi al colloquio fissato il giovedì alle ore 12 in un hotel fuori città.
Io arrivo alle 11.50. Quando entro c’è un uomo che mi chiede il mio nome e mi fa sedere in una sala di attesa. Ha la faccia di quello che ti vende gli orologi all’autogrill, inizio a pensare che probabilmente mio padre aveva ragione. Intanto mi accomodo nella sala e vedo che c’è un altro concorrente. E’ il signor Brambilla da Milano, che mi fa sentire subito a disagio. E’ in abito, con un mocassino in pelle, la cravatta (di dubbio gusto, ma è pur sempre una cravatta) ed è già più puntuale di me. Io avevo optato per mettermi la camicia con un maglioncino e un pantalone scuro. Mi sentivo bello ed elegante, ma l’efficienza del nord mi mette subito sotto pressione. Intanto il tempo passa e alle 12.10 mi chiedo cosa stiamo ancora aspettando, ma la risposta arriva alle 12.15. E’ di corsa, un po’ sudato, entra con i cv in una busta della Coop e chiede subito dov’è il bagno. E’ il signor Palumbo da Palermo. Anche il suo abbigliamento sportivo con scarpe da ginnastica e felpa mi fa tornare il sorriso. Il mio look torna ad essere accettabile. Il venditore di rolex finti allora ci fa accomodare in un’altra stanza dove c’è un uomo corposo che dà più serenità e che sa intrattenere il pubblico, ovvero noi. Ci parla dell’azienda e ci chiede di fare le domande che vogliamo. Palumbo chiede subito delucidazioni sullo stipendio, Brambilla con la sua erre moscia fa una domanda tecnica a cui nemmeno i due rappresentanti dell’azienda sanno dare risposta e io mi mantengo a metà via. Mi sento un po’ come al centro tra due estremi, mi sento un po’ il Casini della situazione e lì capisco che non mi assumeranno mai. Poi penso però a Prodi, Monti, Letta e torno a credere in una mia elezione. Arriva allora il momento del test: 15 minuti per rispondere a domande generali e trabocchetti sulla nostra personalità. Pronti, via e suona il cellulare di Brambilla, lui risponde e dà disposizioni, anche nel momento culmine del colloquio sempre freddo. Palumbo intanto come a scuola chiede se qualcuno sa la domanda numero nove. Io penso di essere finito a candid camera e finisco il test per primo. Dopo un’altra breve chiacchierata i dirigenti ci congedano con il solito vi faremo sapere.
Io, Palumbo e Brambilla ci ritroviamo nel parcheggio a parlare ed è lì che ci confessiamo le paure di un possibile raggiro, da nord a sud siamo uniti nel pensare che c’è il rischio di fregatura. Tutti raccontano le precedenti esperienze negative uguali da nord a sud. La giornata finisce con Brambilla che accompagna Palumbo e la sua sportina della Coop a casa. L’Italia è unita, sotto una coltre di letame, ma è unita.